Alcuni spunti sul Conclave che verrà, tra numeri, geografie e volontà di rappresentare davvero la Chiesa universale
Devo alla lettura di un interessante articolo pubblicato da The Pillar (https://www.pillarcatholic.com/p/the-cardinal-electors-by-the-numbers) – che presenta numeri, tendenze e distribuzioni aggiornate dei Cardinali elettori anche rispetto al passato – alcune considerazioni come quelle che seguono. Perché i numeri, se li si osserva con attenzione, aiutano a leggere meglio il presente della Chiesa e probabilmente a intuire qualcosa del prossimo futuro.
Al di là dell'accanito toto-nomine già partito – un esercizio che lascia il tempo che trova – resta chiaro che l’imminente Conclave, quando verrà convocato, sarà con ogni probabilità il più partecipato della storia recente: 135 Cardinali con diritto di voto, di cui ben 108 creati da Papa Francesco. Eppure non è solo una questione di quantità. Il punto è proprio la qualità della distribuzione dei partecipanti.
Gli elettori attuali arrivano da 71 Paesi diversi. L’Europa, che fino a pochi anni fa rappresentava più della metà del Collegio, oggi è ferma attorno al 33%. In parallelo, sono cresciuti l’Africa, l’Asia e l’America Latina. In molti casi si tratta di Chiese che per la prima volta nella storia hanno un Cardinale elettore. In questi termini, la mappa del Conclave riflette oggi in modo più fedele la geografia reale della cattolicità.
Questa trasformazione, frutto delle scelte di Papa Francesco, apre ad almeno tre effetti interessanti:
– Primo: si riduce la possibilità che il voto venga orientato da poche aree geografiche o da gruppi culturalmente omogenei. In passato, l’intesa tra Cardinali italiani o centro-europei poteva da sola determinare il risultato. Oggi questo è impossibile.
In pratica, la frammentazione (in senso positivo) obbliga a costruire consenso tra realtà diverse: africani e asiatici, latinoamericani e nordamericani, europei e rappresentanti dell’Oceania. In termini matematici, si potrebbe dire che il "potere decisionale" si è distribuito più equamente; e in questo modo risulta difficile che una “cordata” preconfezionata imponga un risultato.
– Secondo: la maggiore diversità introduce una componente di imprevedibilità benefica. Con più attori in campo, con meno rapporti consolidati tra loro, con esperienze ecclesiali molto diverse, l’emergere di un candidato al Soglio di Pietro non è più frutto di dinamiche scontate, ma lascia spazio a dialoghi reali.
I Cardinali sono quasi costretti a conoscersi, confrontarsi, costruire insieme un orientamento comune. In altre parole: la diversità obbliga al discernimento, non solo al calcolo.
– Terzo: maggiore è il numero di chi partecipa a un'elezione, meno scontato è l'esito.
Se nel passato il Conclave si svolgeva con numeri più contenuti e con una forte concentrazione geografica — basti pensare che per secoli gli elettori erano appena qualche decina, tutti provenienti quasi esclusivamente dall'Europa e in larga parte dall'Italia — oggi, con 135 Cardinali provenienti da 71 Paesi diversi, ogni dinamica risulta molto più aperta e meno prevedibile.
Il semplice dato numerico pesa: più aumenta il numero di chi deve decidere, più diventa difficile pianificare o controllare l'orientamento complessivo. In questo senso, il Conclave che si prepara riflette davvero l'universalità della Chiesa non solo nella provenienza dei Cardinali, ma anche nella ricchezza e nella pluralità delle posizioni che emergeranno.
Più di qualche commentatore ha ritenuto che la "moltiplicazione dei Cardinali" da parte di Papa Francesco – ben oltre il numero previsto di 120 elettori ammessi nella Sistina – fosse una mossa per controllare l'elezione del Successore. Eppure, numeri alla mano, si comprende che l’esito prodotto è proprio l'opposto: un’assemblea meno compatta, meno centralizzata, meno gestibile.
In qualche caso, sempre in termini di opinione pubblica(ta), si è ridotta la questione al semplice "gesto di rottura", o addirittura a una sorta di vezzo esotico. In realtà, con il senno del poi – e numeri alla mano – le numerose berrette rosse consegnate sembrano essere parte di un disegno pastorale preciso: dare voce anche a chi non l’ha mai avuta, portare a Roma la varietà della Chiesa, rendere il futuro più frutto di discernimento che di strategia.
Anche questa è allora un’eredità che Francesco lascia alla Chiesa. Un’eredità che si misura nel modo in cui ha preparato il terreno per ciò – e per chi – verrà dopo di lui. Un terreno più largo, più vario, più ricco di umanità e di prospettive.
Un’eredità che non orienta un risultato, ma lo rende più libero. E, forse, anche più vero.
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