In quell’editoriale, il direttore Monda si diceva preoccupato della poca attenzione che come giornalisti riserviamo alle conseguenze del nostro ruolo pubblico, arrivando finanche molto spesso a “uccidere” con un semplice titolo di giornale. E faceva appello a ciascun collega a domandarsi con quale “sguardo” ci poniamo di fronte al racconto di un avvenimento, se con lo stile del servizio agli altri o del servirsene.
Papa Francesco ha sviluppato un ampio magistero in questo senso sin dalla sua elezione, e ad esser sinceri sin da quando era “semplice” arcivescovo di Buenos Aires. Mentre preparavamo la Giornata alla Santa Croce, ci è sembrato necessario dedicare uno spazio alla “chiamata” all’autenticità professionale che nelle innumerevoli occasioni – oltre una trentina di interventi pubblici – Papa Francesco ha rivolto proprio agli operatori dell’informazione e della comunicazione. Ne offriamo qui alcuni sintetici stralci.
L’odierno panorama professionale non è certo idilliaco, forte anche della rivoluzione tecnologica che, mentre ha favorito molti aspetti della vita di un giornalista, ha portato con sé anche alcuni ostacoli, tre tra tutti: la disintermediazione, il caos informativo e la disinformazione, che Papa Francesco arriva a definire peccato mortale.
In questa situazione, lo stesso magistero del Papa ci viene incontro, consegnando 9 “parole chiave” per non cadere in tentazione, che come lettura del tutto personale siamo riusciti a sintetizzare dai vari discorsi, sapendo che in molti casi sono inevitabilmente interconnesse.
Amore per la verità, la bontà e la bellezza
La prima di queste non poteva che essere l’amore per la verità, la bontà e la bellezza, una “triade esistenziale” come l’ha poi definita nella prima udienza con i giornalisti una volta eletto, o più semplicemente “strade” nel cammino professionale.
Amare la verità è per il Pontefice una condizione ineludibile per un giornalista che voglia definirsi tale e anche se la sua ricerca può essere a volte difficile – soprattutto se si è da soli – non va mai svenduta, per rispetto alle persone e alle istituzioni. E amare la verità vuol dire non soltanto affermarla ma anche viverla, come ha poi spiegato all’Ordine dei Giornalisti.
Una simile attitudine porterà necessariamente a cercare anche il bene. Tant’è che “non si cerca la verità per dividersi, contrapporsi, attaccare, squalificare, disgregare”, ben sapendo che “anche nelle situazioni più conflittuali e dolorose c’è un fondo di bene da recuperare”.
Il Papa ricorda anche che verità e bontà devono essere accompagnate dalla bellezza, un bisogno che alberga in tutti i cuori. Infatti, “la comunicazione è tanto più umana quanto più è bella”.
Prossimità e cultura dell’incontro
La seconda parola-virtù con maggiori occorrenze è quella della prossimità. Ed è a Buenos Aires dove l’Arcivescovo Bergoglio la declina nella sua globalità, ricorrendo all’immagine del buon samaritano. La prossimità del giornalista è una forza che si radica nella capacità di accostarsi alla vita delle persone, influendo in maniera simultanea e globalizzata attraverso un unico linguaggio.
Responsabilità
Non esiste professione dove chi la esercita sia avulso da responsabilità, ed è la terza parola su cui si è focalizzato maggiormente anche il Santo Padre, sintetizzandola come visione rispettosa degli avvenimenti che si vogliono raccontare, avendo a mente che la selezione e l’organizzazione dei contenuti, così come la loro condivisione richiede particolare attenzione poiché spesso si usano strumenti che di per sé non sono né neutri né trasparenti.
Curare le parole
Scegliere con cura parole e gesti per superare incomprensioni e generare armonia è il monito che traspare nel Messaggio per la GMCS del 2016, dove è esplicita la speranza affinché le nostre parole e azioni ci aiutino a “uscire dai circoli viziosi delle condanne e delle vendette”. Il linguaggio pacato, infatti, favorisce la riflessione, e se utilizziamo parole ben ponderate e chiare riusciamo anche a respingere i toni aggressivi e sprezzanti.
Dare speranza
Quando parla di speranza, l’idea del Papa va subito ad un tipo di informazione e di comunicazione che sia costruttiva. Infatti, non si tratta di raccontare un mondo privo di problematiche ma “tenere aperto uno spazio di uscita, di senso, di speranza” anche quando si denunciano situazioni di disperazione e di degrado.
Testimonianza
Ogni nostra azione compiuta in pubblico trasmette volenti o nolenti una testimonianza, e questo vale a maggior ragione per i giornalisti, in questo caso attraverso ciò che scrivono. È inevitabile dunque che anche le parole assumano un peso e che queste riesca a sostenerle soltanto chi le incarna nella vita.
Il Papa ricorda anche che verità e bontà devono essere accompagnate dalla bellezza, un bisogno che alberga in tutti i cuori. Infatti, “la comunicazione è tanto più umana quanto più è bella”.
Prossimità e cultura dell’incontro
La seconda parola-virtù con maggiori occorrenze è quella della prossimità. Ed è a Buenos Aires dove l’Arcivescovo Bergoglio la declina nella sua globalità, ricorrendo all’immagine del buon samaritano. La prossimità del giornalista è una forza che si radica nella capacità di accostarsi alla vita delle persone, influendo in maniera simultanea e globalizzata attraverso un unico linguaggio.
Responsabilità
Non esiste professione dove chi la esercita sia avulso da responsabilità, ed è la terza parola su cui si è focalizzato maggiormente anche il Santo Padre, sintetizzandola come visione rispettosa degli avvenimenti che si vogliono raccontare, avendo a mente che la selezione e l’organizzazione dei contenuti, così come la loro condivisione richiede particolare attenzione poiché spesso si usano strumenti che di per sé non sono né neutri né trasparenti.
Curare le parole
Scegliere con cura parole e gesti per superare incomprensioni e generare armonia è il monito che traspare nel Messaggio per la GMCS del 2016, dove è esplicita la speranza affinché le nostre parole e azioni ci aiutino a “uscire dai circoli viziosi delle condanne e delle vendette”. Il linguaggio pacato, infatti, favorisce la riflessione, e se utilizziamo parole ben ponderate e chiare riusciamo anche a respingere i toni aggressivi e sprezzanti.
Dare speranza
Quando parla di speranza, l’idea del Papa va subito ad un tipo di informazione e di comunicazione che sia costruttiva. Infatti, non si tratta di raccontare un mondo privo di problematiche ma “tenere aperto uno spazio di uscita, di senso, di speranza” anche quando si denunciano situazioni di disperazione e di degrado.
Testimonianza
Ogni nostra azione compiuta in pubblico trasmette volenti o nolenti una testimonianza, e questo vale a maggior ragione per i giornalisti, in questo caso attraverso ciò che scrivono. È inevitabile dunque che anche le parole assumano un peso e che queste riesca a sostenerle soltanto chi le incarna nella vita.
Discernimento
Discernere la realtà è un ulteriore atteggiamento virtuoso proposto dal Santo Padre, che si esplica in un giudizio sereno, sincero e forte circa tutto ciò che accade, mantenendo la mente e il cuore aperti ed evitando l’autoreferenzialità. In questo modo si diventa “giornalisti dal pensiero incompleto”, l’unico capace di districarsi in un mondo complesso e pieno di sfide, provando a capire come affrontarle e risolverle.
Periferie
Il Pontefice è consapevole che i luoghi nevralgici in cui si concentra la maggior parte delle notizie si trovano nei grandi centri. Eppure, questo non deve far dimenticare le innumerevoli storie di quanti vivono lontano, distante, nelle ormai famose periferie, dove accanto a sofferenza e degrado ci sono sicuramente racconti di grande solidarietà, che possono aiutare tutti a guardare la realtà in maniera rinnovata.
Umiltà
Un’ultima virtù, non certo per importanza, che il Pontefice veicola con convinzione è l’umiltà. Si tratta dell’approccio che ciascun giornalista è chiamato ad assumere quando si pone alla ricerca della verità. La disposizione è quella di lasciarsi interrogare da ciò che accade senza presunzioni di sorta, ma anche senza restare alla superficie o all’apparenza, accontentandosi di soluzioni scontate “che non conoscono la fatica di un’indagine capace di rappresentare la complessità della vita reale”.
Articolo pubblicato su L'Osservatore Romano dell'1.11.2019
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