Al termine della consueta udienza generale del mercoledì, Benedetto XVI ha salutato Paul Bhatti, il vescovo di Faisalabad, in Pakistan, mons. Joseph Coutts e Syed Muhammad Abudl Khabir Azad, Gran Imam della moschea Badshahi di Lahore.
Paul Bhatti, fratello di Shahbaz, il ministro per le minoranze religiose pakistano ucciso poco più di un mese fa da estremisti islamici, è l’attuale rappresentante governativo per le minoranze religiose. Ieri, durante un incontro organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, ha detto di aver perdonato gli assassini del fratello. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:
R. – Nostro fratello Shahbaz aveva una fede cristiana e la fede cristiana dice di perdonare. In questo caso, noi, la nostra famiglia, abbiamo deciso di perdonarlo. Allo stesso tempo, però, vogliamo scoprire chi sono gli autori di questo delitto.
D. – Lei ha detto che da fratello maggiore più di una volta aveva cercato di proteggerlo. E lei, oggi, riprende la sua stessa strada…
R. – Quando lo consigliavo, vedevo mio fratello con amore fraterno. Non mi rendevo conto dell’azione reale che stava compiendo, della responsabilità che si era assunto. Adesso, vivendo la sua situazione, vedendo la gente che magari ha bisogno di una guida, osservando le persone emarginate, sento l’esigenza di continuare.
D. – E i timori ci sono anche per lei, ora?
R. – Penso che i timori ci siano, perché la gente, probabilmente, ragiona secondo una logica di odio, di terrorismo. Magari prova odio verso la nostra famiglia e quindi agiscono di conseguenza. Metto in conto che questo possa succedere.
D. – Il punto nevralgico di questa legge sulla blasfemia è la possibilità di interpretarla?
R. – Sì, credo sia la sua interpretazione. Questa legge è stata fatta dagli inglesi, quando erano ancora in India. Solo che, ultimamente, è stata usata o interpretata soggettivamente dalla gente, per fini personali: Asia Bibi – essendo una donna di un ceto socio-culturale molto basso, molto povera – non penserebbe minimamente di insultare Maometto. E’ evidente che è stata creata una certa situazione per fare in modo di punirla o magari per un rancore personale.
D. – Quali sono le prime sfide che si troverà di fronte?
R. – La prima è questa discriminazione religiosa, che sta crescendo giorno per giorno. Non perché i fedeli non possono convivere tra loro, ma perché c’è una campagna di odio creata da una base terroristica che continua ad usare la religione. Noi dobbiamo combattere quest'odio. Se non lo facciamo, queste vittime continueranno ad esserci. Non si tratta solo di mio fratello: in Pakistan ci sono tutti i giorni bombe che esplodono e persone che vengono uccise. Questa è, in qualche modo, la prima sfida.
D. – Lei ha ringraziato la comunità internazionale e Benedetto XVI per il sostegno che avete ricevuto dopo la morte di suo fratello. Ma il sostegno del suo Paese, conta di averlo?
R. – Sì, certo. Il sostegno dell’attuale governo c’è. Il fatto che mi abbiano proposto di continuare l’opera di mio fratello testimonia la loro disponibilità, perché questo posto, che ora occupo, era desiderato da molti altri. Il governo pachistano, però, affinchè si continuasse a lottare, ha dato a noi il compito ed inoltre ha dichiarato il suo pieno appoggio per qualsiasi cosa che faremo, perché queste cose non accadano più.
D. – Un ricordo personale da fratello più grande?
R. – Io ho un ottimo ricordo di lui, come fratello. Ma anche i nostri genitori lo hanno di lui, come figlio. Era una persona eccezionale. Non l’ho mai visto arrabbiato. Se per qualsiasi motivo si arrabbiabiava con qualcuno, era il primo che voleva poi fare pace. Fino ad ora, in casa, quando c’era lui, c’era serenità, una certa felicità. Questo adesso manca.
- Radio Vaticana -
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