Ecco cosa ho scritto, pensando anche in generale:
"Mi è stato chiesto un commento, possibilmente utile, riguardo alla recente media policy adottata dal Comune di Grottammare con la delibera 298 del 20 dicembre 2020.
Innanzitutto direi che è sicuramente un fatto positivo che si prenda atto della “risorsa strategica” che i social network possono rappresentare – e di fatto rappresentano – per il miglioramento dei rapporti della Pubblica amministrazione con i cittadini. Questo è un punto nevralgico, perché consente di creare un flusso costante e senza barriere tra chi amministra e chi è amministrato, andando a risolvere possibili gap che frequentemente si frappongono in questo rapporto. Pensiamo a tutte le volte che il “mostro” della burocrazia ci è sembrato imbattibile. E la burocrazia si trova, volenti o nolenti, negli apparati amministrativi.
La scelta del Comune di Grottammare è in linea con quanto disposto dal Ministero per la semplificazione e la Pubblica Amministrazione del precedente Governo, che ha inteso non più rinviabile – dopo oltre quindici anni dalla loro diffusione – lo “sbarco” delle amministrazioni sui social. Nulla da obiettare, dunque, sul piano della legittimità del provvedimento grottammarese, che in fondo si limita a rispettare un protocollo predisposto a livello centrale.
I punti della media policy che probabilmente hanno destato più interesse nell’opinione pubblica in generale e negli utilizzatori della Rete, sono fondamentalmente gli articoli 4 e 5, nei numeri in cui si parla di moderazione dei commenti, loro rimozione, divieti vari e vigilanza (a campione).
ASSENZA DI PROATTIVITÀ, CITTADINO VISTO SOLO NELLA SUA PARTE PEGGIORE
Infatti, ciò che traspare tra queste specifiche righe delle “linee guida” è la totale assenza di proattività nel rapporto tra Pubblica Amministrazione e cittadino, considerato soltanto nella sua parte peggiore: troll, propagandista, scostumato, odiatore, apologetico… fondamentalmente malfattore da perseguire.
C’è poi un punto, il n. 3 dell’art. 5, che svela il limite di questi provvedimenti che, se da una parte vogliono sembrare “all’avanguardia” e al passo con i tempi, poi in fondo sono orientati soltanto a preservare in qualche modo la buona immagine (fama) del potere costituito. Insomma, esiste – e se ne prende atto, paradossalmente, proprio mentre si fa il salto nell’innovazione – “la difficoltà materiale di monitorare costantemente e integralmente tutti i contenuti”.
SOCIAL-DIFFUSIONE (ANZICHÉ SOCIAL-RELAZIONE)
Questa “confessione” sta purtroppo a dimostrare che ancora una volta i social e tutto il loro intorno vengono considerati - in questo caso dalla Pubblica Amministrazione -, limitatamente nel loro elemento di “mezzo di diffusione” (delle cose belle che siamo tanto bravi a fare, possibilmente) e non come “ambiente di relazione” quale invece sono.
Per una pubblica amministrazione, creare relazione con i cittadini significa aprire un canale diretto di risposte costante, anche e forse soprattutto alle domande più scomode; attivare un presidio che non si pone limiti di tempo e considera l’interlocutore (in questo caso il cittadino) come la ragione fondamentale del proprio operato, non come un accessorio molto spesso fastidioso e per di più dedito a comportamenti illegali.
La violenza – comportamentale, verbale – e l’illegalità vanno sempre perseguite, in ogni sede e con ogni mezzo, compresi i social. L’auspicio, però, è quello di riuscire a capire un giorno che il bene non è un concetto astratto, ma una realtà che sta nelle nostre mani, che si diffonde attraverso le relazioni che intelaiamo quotidianamente.
L'ANTIDOTO ALL'ODIO E ALLE FRUSTRAZIONI
L’antidoto all’odio, infatti, è quello di instaurare relazioni fluide, diremmo quasi “alla pari”, con chi sta alla base del proprio lavoro (in questo caso il cittadino, a cui fornire un servizio). Non è un caso che molte delle situazioni spiacevoli nei rapporti con la PA nascono il più delle volte da frustrazioni alimentate da un “ente pubblico” che si sente privilegiato e dimentica che è lì per servire – e relazionarsi – con le persone.
Questo vale per Grottammare, ma vale per ogni comune d’Italia"